mercoledì 23 aprile 2014

Risvegli di Pier Giorgio Tomatis

Cap. Sette Risvegli
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Qualcuno ha aperto la porta con violenza facendomi ruzzolare. Disse la giovane. Non c’è la possibilità che tu ti stia sbagliando? Sembrò suggerire Lorelay. Vi assicuro che è andata proprio così. Ripeté Hildegarde visibilmente seccata, per i dubbi espressi dall’amica. Quando Kyle, Gilbert e Daniel tornarono nella cantina chiesero ulteriori lumi all’amica e confermarono i sospetti che la casa fosse completamente deserta. Ai piani di sopra non c’è anima viva. Esclamò Kyle. E’ vero. Gli animali sono le uniche forme di vita presenti nello stabile. Aggiunse Kyle. Eppure qualcuno mi ha buttato giù dalle scale. Lo giuro. Sostenne con convinzione Hildegarde. Ti credo. Disse Gilbert. Solo che è tutto così… La comunicazione tra loro s’interruppe. Le luci all’interno della cabina di vetro aumentarono visibilmente d’intensità e colore. I ragazzi si strinsero tra di loro, si avvicinarono al vetro e guardarono ciò che stava succedendo. Il fenomeno al quale stavano assistendo cresceva ad ogni istante d’intensità. Le luci variopinte e gli scoppiettii che sembravano formarsi a mezz’aria aumentavano in maniera repentina. Tuttavia, tale fenomeno non sembrava produrre alcun suono o, almeno, nessuno dei ragazzi poté avvertirlo. Credo che sia meglio se ce ne andiamo. Sussurrò la piccola Audrey. Si, forse è meglio. Aggiunse Arthur. No. Siamo qui per svolgere un compito specifico. Ve lo debbo ricordare? Chiese Gilbert spazientito. E’ vero. Dobbiamo scoprire ciò che succede in questa casa. Rimarcò Daniel. Daniel fece appena in tempo a terminare la frase che un enorme fascio di luce colpì i suoi occhi e quelli degli altri ragazzi, tramortendoli e facendoli cascare in terra. La luce all’interno continuò a crescere d’intensità fino a coprire ogni centimetro della cabina. Passarono almeno un paio di minuti prima che il fenomeno cominciasse a regredire. Quando il laboratorio tornò ad essere immerso nel buio la porta della cabina si aprì. Una gelida brezza soffiò lieve verso il viso dei ragazzi. Gli occhi di Lorelay si liberarono del torpore determinato dal lungo sonno e si spalancarono per primi. La giovane non riuscì a sbatter le palpebre, paralizzata dal terrore. La tenue luce delle candele di un candelabro posto al centro di un tavolino stava sforzandosi di illuminare una stanza di almeno ottanta metri quadrati. Lorelay e tutti i suoi amici si trovavano inermi nel salotto di casa Chances, legati mani e piedi a delle sedie di legno di vecchia fabbricazione, umide e tarlate. Anche gli altri ragazzi ripresero conoscenza e compresero di essere stati fatti prigionieri da qualcuno. State tutti bene? Chiese Gilbert con uno strano timbro della voce e la bocca impastata come se avesse dormito ininterrottamente per diverse ore. La mia testa…mi sembra di sentirla scoppiare. Farfugliò Kyle. Legati. Siamo legati ad una sedia. Esclamò Daniel. Chi è stato? Chi ci ha ridotti così? Domandarono quasi in coro la piccola Audrey ed Alice. La domanda più giusta da farsi…il suono di una voce sconosciuta, stentorea e profonda, giunse alle orecchie dei ragazzi i quali sforzarono la propria vista per vedere a chi appartenesse…è che cosa facevate in casa mia? L’individuo che aveva proferito queste parole rimase seminascosto dalla luce delle candele che illuminava debolmente solo una parte del salotto. Gilbert si concentrò sui suoi lineamenti, sulla voce e su quanto stava dicendo per scoprire chi fosse. Ma che stai dicendo? Questa casa è tua quanto nostra. Tu non sei il Dottor Chances. Sarai un ladruncolo che si è intrufolato in casa sua. Disse Daniel. Fino a prova contraria…eravate voi che vi trovavate nel posto sbagliato. Voi non siete lui e nemmeno suoi lontani parenti. Accusò lo sconosciuto. Chi sei? Perché ci hai legati in questo modo? Domandò Gilbert con rabbia e veemenza. Io sono chi ho detto di essere. Rispose lo sconosciuto. Menti. Il Dottor Chances non c’è più da anni. E poi se fosse vivo…dovrebbe avere più di un centinaio d’anni. Centoventitré…per la precisione. E allora chi sei, mentitore? Mi chiamo Eugene Salomon Chances. Sono nato nel 1902 in Austria, in un paesino delle Alpi che si chiama …….. Occupo questa casa perché è mia di diritto. Bugie. Non puoi essere lui. E perché di grazia non potrei essere chi sono? Il Dottor Chances non può avere centoventisei anni. Nessuno lo può. Interessante teoria. Ineccepibile. Però, errata…perché io ho esattamente centoventisei anni. Assurdo. Adesso abbiamo la conferma che è un bugiardo…o un pazzo. Che cosa vuole da noi? A dire il vero…nulla. Vi trovavate in casa mia. Vi ho trovato svenuti in terra nella mia cantina. Non amo i visitatori e non potevo esser sicuro delle vostre intenzioni. Siamo solo dei ragazzi… Al giorno d’oggi è più che sufficiente per giustificare la massima cautela. Chi siete? Un gruppo di ragazzi che pensava che questa casa fosse disabitata. Adesso chi è che sta mentendo? Mentre eravate svenuti, quel ragazzo ha detto che sapevate benissimo che questa casa era abitata. Dunque, vi ripeto la domanda: cosa ci facevate in casa mia? I ragazzi si guardarono l’un con l’altro scambiandosi delle occhiate d’intesa. Parlò Gilbert per tutti. Abbiamo scoperto che lei sta conducendo esperimenti non autorizzati. Il Dottore si mise a ridere. Se la scienza ufficiale sapesse cosa sto facendo non solo approverebbe ma mi farebbe una corte serrata. Oh, basta. La smetta, per favore. Abbiamo visto cosa succede nel suo laboratorio. Abbiamo trovato la pietra che fonde i metalli. Il Dottor Chances sbigottì. Gilbert fulminò con lo sguardo la povera Alice. Avete trovato un Bargain? I ragazzi si scambiarono degli sguardi confusi. Il metallo che brucia gli altri metalli? Si, lo chiamai così. All’inizio…prima di sapere che cosa realmente fosse… E avete per caso provato ad accostarlo a del legno? I ragazzi aggrottarono la fronte in segno di stupore. No, certo che no. Ovviamente. Come avreste potuto saperlo. Questo comunque non risponde alla domanda principale: che cosa ci fate qui? Prima che il Dottore potesse avere una qualunque risposta la luce si spense. Il black-out durò qualche secondo, poi tutto ritornò alla normalità. I ragazzi si scambiarono degli sguardi increduli. Il volto del Dottore, invece, impallidì così tanto da sembrare bianco come marmo. Oh, no. Mio Dio fa che non stia accadendo ciò che temo. Il Dottore afferrò un coltello dal cassetto di un tavolo da cucina e, nel panico generale dei ragazzi, lo posò tra le gambe di Daniel. Recidi le corde che ti legano e libera i tuoi compagni. Daniel si stupì al punto che i suoi occhi parvero schizzargli fuori dalle orbite. Fa presto. Non c’è tempo da perdere. E dette queste parole, si allontanò correndo verso la cantina-laboratorio. Daniel afferrò in qualche modo il coltello e si liberò delle corde. Quando fu ora di liberare i compagni sistemò il coltello in modo che Gilbert lo potesse afferrare e poi uscì dalla stanza correndo nella stessa direzione presa dal Dottore. Alice e Gilbert urlarono nel tentativo di impedirglielo ma non riuscirono nel loro intento. Gilbert si liberò delle corde e poi fece altrettanto con Lorelay. A sua volta, la ragazza liberò Kyle. Nel giro di pochi minuti tutti si alzarono in piedi pronti a tornare nella cantina-laboratorio. Cosa che fecero immediatamente. Alice era preoccupata per la sorte del suo Daniel e corse più forte che poteva. Gli altri, pur spaventati da quanto era successo, non furono da meno. Tornarono nel laboratorio, in tempo per assistere ad una strana colluttazione. Daniel si trovava al centro della cantina ed osservava due uomini che sembrava stessero lottando tra di loro mentre la cabina di vetro era illuminata con luci multicolori ed emetteva un curioso ronzio. Uno dei duellanti era il Dottor Chances. L’altro aveva un abito stranissimo. Sembrava quasi indossasse una pelliccia d’animale, forse di un orso, dal colore arancione, decisamente innaturale. I due uomini si stavano contendendo un oggetto che nemmeno Daniel che si trovava a pochi passi da loro, riusciva a distinguere bene. Ad un tratto, il Dottor Chances ruzzolò in terra e la luce artificiale dei neon diminuì. Una coltre buia parve impossessarsi d’ogni centimetro di quella stanza. I ragazzi si spaventarono. Gilbert cercò di mettere a fuoco la vista e scoprì che il buio arrivava dall’interno della casa e si trattava di una nebbia di colore verde intenso. La porta della cantina, lasciata socchiusa da Hildegarde, si spalancò e strane creature entrarono da quell’apertura. Sembravano dei volatili, uccelli dalle piume color verde scuro e bianco. Dietro di loro spuntarono degli animali simili ad orsi giganteschi ma il colore era arancione, esattamente come quello della pelliccia che indossava lo strano individuo. Gilbert e Daniel fecero cenno ai ragazzi di farsi in disparte e nessuno osò contraddirli. Un urlo spaventoso, ma umano, riecheggiò nella stanza gettando ancor più confusione tra i ragazzi. Per quanto si sforzassero non riuscirono a capire chi potesse averlo lanciato. Non certo il Dottor Chances che si trovava ancora a terra, e nemmeno il misterioso personaggio vestito con pelle d’animale, il quale restava ritto, in piedi, vicino all’apertura della cabina a vetri. Gli strani animali continuarono ad entrare e si sistemarono attorno ai due contendenti. Quelli che sembravano degli orsi arancione, o enormi gibboni colorati, cominciarono ad annusare l’aria come se fossero alla ricerca di un particolare odore. I ragazzi erano terrorizzati e immobilizzati in un angolo del laboratorio. I gibboni si voltarono verso il misterioso personaggio con la pelle d’animale e Gilbert notò, solo in quel momento, che il colore era il medesimo. Lo strano uomo non sembrava per nulla intimorito da quelle demoniache creature. Anzi, il ragazzo pensò che ne avesse scuoiata una in precedenza per farsi quella cappa di pelliccia. Gilbert memorizzò il viso e lo sguardo dell’uomo. Gli apparivano quelli di un folle. Aveva una chioma grigia e scarmigliata sormontata dal muso di una di quelle bestie come copricapo e degli occhi scintillanti d’odio e pazzia. Il Dottor Chances, semisdraiato in terra, aveva il sudore che grondava dalla sua fronte e farfugliava delle parole il cui suono era appena percettibile. Dagliela. Da loro ciò che cercano. L’uomo che indossava la pelliccia tolta dal corpo di una di quelle bestie si limitò a ridere. Pazzo. Urlò. E’ proprio per loro che farò ciò che va fatto. Fu a quel punto che Gilbert notò che lo strano individuo stava tenendo stretto con le dita della mano destra un pezzo di roccia che non esitò a riconoscere. Si trattava del metallo che brucia gli altri metalli. Sembrava avvolto con del nastro isolante di colore nero e legato ad un pezzetto di legno ricurvo. L’uomo gettò l’oggetto che stava contendendo fino a pochi istanti prima al Dottor Chances nella cabina di vetro. Con una rapidità incredibile, e lasciando una scia colorata di verde, qualcosa d’indefinibile e di volante seguì l’oggetto. Doveva trattarsi di un esemplare di quelle specie d’avvoltoi. Una risata bestiale e spietata fece venire i brividi ad Alice. L’oggetto sembrava essere sparito. L’uomo con la pelliccia arancione se ne stava ritto, in piedi, ad osservare quanto stava accadendo davanti agli occhi di tutti e rideva come un folle. Dalla cabina a vetri si udì un orripilante gracchiare e versi d’enorme sofferenza. Tuttavia, Gilbert ed i ragazzi non riuscivano a capire cosa stesse accadendo. L’uccello si stava contorcendo come se fosse stato messo dentro un forno a microonde e, per quello che ne sapevano i ragazzi, poteva anche essere andata così. L’uomo con la pelliccia, allora, si diresse verso il pannello di controllo, vi armeggiò per alcuni istanti, poi, alzò lo sguardo e si limitò a lanciare un’occhiata demoniaca ai ragazzi ed al vecchio che si trovava ancora in terra. E’ qui? Domandò come in preda a follia il vecchio Dottore. La risata di scherno che ne seguì riempì l'aria. Gilbert il cui sguardo, fino ad allora, era stato calamitato dalle strane creature, non ebbe il tempo di notare altri particolari che una di quelle bestie simile ad un gibbone saltò in avanti e placcò l’uomo come non aveva mai visto far meglio in nessuna partita di football americano. Nello slancio, i duellanti finirono con l’entrare dentro la cabina di vetro. Mentre le fauci della bestia stavano banchettando sulle tenere carni dell’uomo, questi tirò una leva ed alzò il metallo che brucia gli altri metalli più che poteva. Gilbert vide che il Dottor Chances allontanava lo sguardo dalla scena in modo sospetto e ricordò l’episodio in cui un’intensa luce aveva causato lo svenimento di tutti i ragazzi. Colto da un’improvvisa intuizione si voltò ed allargò le braccia a difesa dei propri compagni ed amici Un istante più tardi, una luce accecante si propagò per tutta la stanza. Un arco di fiamma si formò all’interno della cabina, bruciò l’uomo e la bestia avvinghiati l’una all’altro e si trasformò in una miriade di coriandoli infuocati. Un altro raggio di luce arrivò dal soffitto e parve arroventare il metallo che brucia gli altri metalli. Quest’ultimo assorbì le proprietà del raggio e assunse un colore rosso fuoco. Il Dottor Chances si alzò allora da terra, radunò i ragazzi spiegando loro la gravità della situazione. Venite. Dobbiamo fuggire da qua. E in fretta. Biascicò in lingua inglese ma con smaccato accento austriaco. Gilbert ed i ragazzi non se lo fecero ripetere due volte e salirono le scale della cantina insieme al Dottore. Ebbero anche la forte sensazione di essere seguiti ma nessuna delle bestie presenti nel laboratorio riuscì ad uscirne. Viva. Arrivati nel salone di Casa Chances lo strano gruppo formato dai ragazzi e dal padrone di casa proseguì verso l’esterno. Si ripararono dietro un piccolo terrapieno ed un solo istante più tardi una forte esplosione sconvolse tutto il quartiere. Dal punto dell’esplosione il raggio luminoso che proveniva dal cielo cominciò a cambiare colore e a diventare verde. Una nebbia calda, spessa ed umida si propagò istantaneamente e raggiunse i ragazzi. Dopo un primo istante di smarrimento, i giovani scozzesi non furono in grado di udire più nulla. La fitta e densa coltre verdognola si propagò dalla zona dell’esplosione e avanzò. In breve tempo occupò tutto lo spazio visivo del quartiere. La sua velocità di trasferimento era vertiginosa. Nessuno ad Edimburgo fece in tempo ad accorgersi che la nebbia stava oscurando il cielo in quanto nello stesso preciso momento era avvolto inconsapevolmente da quello strano fenomeno atmosferico. Poi, dopo la capitale della Scozia, fu la volta di tutte le altre città e nazioni europee. Nessuno ebbe modo di reagire o anche solo di capire cosa stesse accadendo. Molto semplicemente, la nebbia verde si stava sostituendo all'ossigeno, vitale per i nostri polmoni e la vita in genere, con una rapidità impressionante. Nel giro di poche decine di secondi l'atmosfera terrestre sparì. Al suo posto una bruma limacciosa di colore verdognolo cambiò i connotati al nostro pianeta. Tutto fu repentino. La nuova atmosfera impediva ai raggi solari di filtrare in essa e ciò avrebbe provocato un brusco cambio di temperatura. Tuttavia, le cose non andarono così. La nebbia era sufficientemente calda da impedire agli esseri umani di morire congelati. Essa non era venefica e, a parte un gran torpore, una sensazione di stordimento, non procurò alcun danno ad anima viva. Tutti gli esseri viventi sprofondarono in un sonno innaturale. Questa situazione si protrasse per almeno un paio d’ore. Poi, la nebbia si diradò e, seppur lentamente, tornò a lasciare all'ossigeno dell'atmosfera tutto lo spazio che gli spettava. I raggi del sole cominciarono a filtrare tra la coltre della spessa nebbia ed a raggiungere il suolo terrestre e le palpebre degli esseri umani. Gli occhi si aprirono. Le palpebre tornarono a sbattere e gli individui si svegliarono dal sonno che li aveva colti così velocemente. Quando la nebbia sparì in modo completo, come se fosse evaporata o trasmigrata verso altre zone dell'universo, gli umani si guardarono attorno per capire cosa fosse successo. Sembrava che non vi fosse stato alcun cambiamento. Tutto sembrava al suo posto. Tutto pareva essere rimasto esattamente come prima. O quasi. Dapprima la gente pensò che il sonno avesse causato grossi guai alla vista. Qualcosa che non sembrava per niente normale c'era. Le dimensioni. Le piante, le case, gli oggetti, ogni cosa pareva essere diventata più grande del dovuto. I fiumi, il mare, i corsi d'acqua, avevano raggiunto delle grandezze superiori a quelle di un tempo, diciamo prima del fenomeno della nebbia verdognola. Gilbert, Lorelay, Audrey e tutti gli altri ragazzi si svegliarono con un forte mal di testa e percepirono che qualcosa di grave era appena accaduto.

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