lunedì 21 aprile 2014

Da Todos Caballeros di Tomatis Pier Giorgio

Per vedere l'isbn e l'intero catalogo andate su (https://www.flickr.com/photos/120332833@N02)/ Capitolo 16/ L’ultima notte/
Quella che sarebbe stata la notte più scellerata che la città di Pinerolo avrebbe mai vissuta ebbe inizio proprio così. Con il fastidioso gracchiare del motore di un Vannette della Nettezza Urbana. Che cosa c'è agente? Ho superato i limiti di velocità o cosa? Chiese Luigi Gariglio ai carabinieri che lo avevano fermato ad un posto di blocco per i normali controlli stradali. Un normale controllo. Favorisca patente e libretto, per cortesia. Fu la richiesta dell’appuntato. Uh, oh... sì, certo. Si affannò Luigi cercando di prendere il portafogli dalla tasca dei pantaloni. Così ci fa in giro quest'ora di notte? Domandò l’appuntato. Ho finito tardi il mio giro perché ho mangiato pranzo e dormito a casa di un'amica... Allora vada pure tranquillamente a casa. E’ tutto a posto. Già. Però domattina mi toccherà svegliarmi presto. Inizio il giro normalmente. Sbuffò Luigi. Allora vorrà dire che dovrà andare subito a dormire… Suggerì l’appuntato. Erano all’incirca le otto di sera ed era l’ultima notte prima dello spoglio delle schede. Tutto procedeva normalmente in città e le tensioni delle ultime settimane parevano finalmente sopite. Luigi stava tornando a casa con il suo Vannette della nettezza urbana. Aldo diede una grande festa in una discoteca e si promise di ballare sino a tarda mattinata. Giacomo aveva organizzato una serata gastronomica, a base di polenta, salsicce e specialità tipiche piemontesi. Giovanni… Giovanni, invece, fece qualcosa di particolare. Fece visita a tutti i militari presenti ai seggi insieme al suo fido aiutante Oreste. Allora, ragazzi... tutto bene? Domandò Giovanni mentre Oreste studiava i locali e la disposizione dei soldati. Splendido. A nome di tutti volevamo ringraziarla per il regalo. Fu la risposta di un graduato. No. No. Nessun regalo. Si è trattato solo di un pensiero. Mi è venuto in mente che non ci prendiamo mai cura dei nostri soldati durante le elezioni. I nostri giovani. La spina dorsale della nazione. Coloro che nel momento più fragile della vita di una democrazia si ergono a baluardo invalicabile in sua difesa. Recitò Giovanni a memoria. Come parla bene, signor Stortis. Esclamò il graduato. Giovanni. Per voi sono... solo... Giovanni. Lo corresse il candidato Senatore. Non so se... possiamo... Disse con cautela. Oh, al diavolo. Dove sta scritto che non potete rivolgervi in tono colloquiale con un autorevole rappresentante della maggioranza. Tagliò corto Giovanni. Ma... sa, la par condicio. Confessò il graduato. E cioè? Chiese Giovanni, il quale udiva quelle parole per la prima volta in vita sua. Le pari opportunità... Spiegò il graduato. Delle pari opportunità io me ne infischio. Del resto, voi vedete qualche altro candidato che si è presentato a tenervi compagnia ed ad aiutarvi a sorvegliare il secchio questa sera? No. No signore. Credete forse che i miei rivali stiano prestando servizio per i bisognosi, che so... a fare da infermieri in un ospedale per bambini spalti c'è? Non credo proprio. Avranno festeggiato, mangiando squisitezze pagate dal partito (beati loro soggiunse tra i denti cercano di far risultare incomprensibili quelle parole). E poi avranno ballato con donne facoltose belle. Per tacere poi di cosa possono aver fatto dopo... mentre i nostri militari... niente. A stecchetto. Non è giusto. Argomentò Giovanni. Ha ragio... hai ragione, Giovanni. Hai perfettamente ragione. A noi la ronda e a loro la baraonda. È... crudele. Affermò il graduato, senza peli sulla lingua. Sì. È vero. E... cosa? Cos'è stato? Hai sentito anche tu? Mentì Giovanni allo scopo di verificare quanto fossero preparati i militari. No. Cosa? Confessò senza troppa preoccupazione. Un suono. Come di un corpo che strisciava. Continuò a mentire Giovanni. Dove? Chiese il graduato senza scomporsi. Là. Là in fondo. Indicò Giovanni. Dove? Domandò nuovamente il graduato. Vicino alle piante e all'erba alta. Finse Giovanni. Tutti guardarono in quella direzione. Il graduato puntò la torcia elettrica in quella direzione. Tutti tesero le orecchie, fuorché Oreste, il quale era più preoccupato di memorizzare la planimetria dei locali. Ma no. Probabilmente sarà stato un gatto. Affermò Giovanni. Ma certamente. E’ così. Disse il graduato sentendosi più sollevato. Il vecchio Luigi Gariglio fece una pausa nel suo racconto. I suoi due ospiti si accorsero che il suo viso pareva affaticato. Gli domandarono se gradiva interrompere per qualche minuto. Il vecchio bevve il suo bicchiere di vino e si acconsentì. Il giornalista ed il cameraman uscirono dall’appartamento e tornarono nel sottoscala. Vieni. Usciamo un minuto. Devo fare una telefonata. Disse Marco. Come vuoi. Fu la risposta di Gualtiero. Appena usciti dalla casa, i due uomini furono investiti dalla luce brillante dei raggi solari. Entrambi, con un movimento quasi sincrono, indossarono lentamente un paio di occhiali scuri. Marco, il giornalista, prese il cellulare e compose un numero. Una voce femminile rispose alla chiamata. Si. Pronto? Domandò una donna. Pronto? Cara? Fu la risposta di Marco. Ah, sei tu. Esclamò la donna. Sì. Volevo dirti che ho già fatto la commissione che mi avevi chiesto. Eh, si… ho pensato a quella cosuccia su mia madre. Disse il giornalista. Bene. Si congratulò la donna. Senti, volevo dirti che stasera farò tardi. Non ti secca. Vero? Chiese Marco, il quale dopo aver sentito dalla donna che la cosa non avrebbe creato alcun problema, salutò e chiuse la telefonata. Non sei un po’ preoccupato? Domandò Gualtiero. Per cosa? Rispose Marco sorpreso. Per il vecchio. Voglio dire… non mi sembra stia troppo bene. Spiegò Gualtiero. Non sono un medico. Se ce ne sarà bisogno, lo chiameremo. D’accordo? Chiese Marco. D’accordo. Assentì il giovane collega. I due uomini rientrarono chiudendo il portoncino d’ingresso. Salirono le scale e rientrarono nell’appartamento del vecchio. In effetti, Luigi Gariglio non aveva proprio una gran bella cera ma insistette per riprendere il suo racconto che ricominciò quando lui uscì presto quella mattina per il suo turno di lavoro. Erano in circa le tre e quaranta quando aprì il portoncino del palazzo di Corso Bosio, dove allora abitava. Tastò con le mani le tasche dei pantaloni onde assicurarsi di avere preso le chiavi dell'appartamento. Quelle del suo automezzo, un Vannette adibito al trasporto dei rifiuti, era d'uso tenerle dentro il cruscotto. Era a Pinerolo. Nessuno porta via un Vannette della nettezza urbana. Luigi entrò nell'abitacolo, cercò di schiarirsi gli occhi ancora annebbiati per il sonno. Allungò la mano destra, aprì il cruscotto e cominciò a cercare le chiavi di accensione. Niente. Stupito, riprovò. Ancora nulla. Impossibile, pensò. Se un ladro avesse cercato di rubargli il Vannette se ne sarebbe andato via con l'automezzo non con delle stupide chiavi. Cercò ancora. E ancora. E ancora. Nulla. Nel cruscotto non v’era nemmeno l'ombra delle chiavi. Provò a sforzare la memoria per ricordare se la sera prima le avesse messe in un posto diverso dal solito. Strano per uno come lui che generalmente era un abitudinario, persona estremamente precisa. Poi, sgomento, le vide, in bella mostra davanti a sé, nel quadro comando. Com'è possibile? Pensò. Sino ad allora non aveva mai fatto un errore del genere. bene. Una prima volta c'è sempre nella vita. Solo a Pinerolo puoi fare un errore di questo genere e trovare ancora il mezzo dove lo avevi lasciato. Beh... a dire il vero a Luigi pareva di vederlo parcheggiato un po' più avanti, almeno di una decina di metri. Il sonno gioca brutti scherzi e quella mattina sembrava farlo in modo particolare. Girò la chiavetta e diede gas. Il mezzo si mise in moto e l'operatore ecologico aperti. Nemmeno un minuto più tardi arrivò una Bmw. Alla guida c'era Giacomo e nel sedile accanto lui sedeva Rodolfo. L'auto si arrestò e si aprì la portiera. Ma sei sicuro che l'avevi parcheggiato qui? Chiese Giacomo preoccupato. Ti dico di sì. Era proprio qui, davanti a questo portone. Rispose Rodolfo che non si capacitava della cosa. E allora sei ancora più ubriaco del solito perché è laggiù. Disse Giacomo, indicando a circa una ventina di passi da li. Dove? Domandò Gualtiero, il quale non aveva ancora scorto l’automezzo. Là in fondo, dietro quella Citroen Picasso. Continuò ad indicare Giacomo. Impossibile. Esclamò Rodolfo. Impossibile ma si trova la. Guarda un po'. Le hai ancora le chiavi? Chiese il candidato Senatore, a quel punto decisamente più sollevato. Le ho lasciate inserite. Confessò candidamente Rodolfo. Sei pazzo? E se qualcuno ci rubava il mezzo? Ero praticamente rovinato. Come avrei potuto cavarmela? Si inquietò Giacomo. Siamo a Pinerolo. A chi vuoi che venga in mente di rubare un Vannette della nettezza urbana. Fu l’analisi di Rodolfo. Mi auguro che tu abbia ragione. Ti aspetto. Vai a controllare. Disse con piglio Giacomo. Vedrai che non mi sbaglio. Fu l’orgogliosa replica di Rodolfo. Rodolfo aprì la porta e si sedette sul sedile. Guardò nel quadro comando, alla ricerca della chiavetta ma non lo trovò. Allora? Non ho mica tempo da perdere. Lo incalzò Giacomo. Un momento. Disse Rodolfo cominciando a preoccuparsi. Rifletté qualche secondo. Si trovava a Pinerolo. Nessuno porta via un Vannette della nettezza urbana. Dopotutto, se un ladro avesse cercato di rubargli il mezzo, cosa che riteneva alquanto improbabile, se ne sarebbe andato via con esso, non con delle stupide chiavi. Tastò con le mani tra le scartoffie del cruscotto e lo trovò. Com'era possibile? Pensò. Ricordava benissimo di averle lasciate sul quadro solamente mezz'ora prima. Allora? Ti sei addormentato? Chiese Giacomo sempre più spazientito. Sono qui. Le chiavi. Le ho in mano. Esclamò Rodolfo, il quale non credeva ai propri occhi. Bene. Si congratulò Giacomo per lo scampato pericolo. Te lo avevo detto. Siamo o non siamo Pinerolo? Domandò retoricamente ma con poca convinzione. Allora, adesso posso andare. Ci vediamo domani alla grande festa. Disse Giacomo mentre avviava il motore della sua auto. Ci sarò. Replicò Rodolfo. Devi... Esclamò Giacomo scambiando un’occhiata d’intesa col suo collaboratore. Giacomo accelerò e sparì alla vista. Rodolfo rimase interdetto ancora per qualche istante, poi decise di non pensarci più e partì in direzione dei box. Nel frattempo Luigi giunse in via Garibaldi. Quando fu colto da un'improvvisa voglia di evacuare. Fermò il Vannette sul lato stazione ed attraversò la carreggiata. La sua destinazione era il vespasiano che si trova in Piazza Garibaldi. Entrò, si tirò giù i calzoni e cominciò liberarsi del pesante fardello. In quello stesso istante, Livio uscì di fretta dalla propria abitazione e vide il falso Vannette della nettezza urbana che aveva lasciato parcheggiato su quel lato di Via Garibaldi, a pochi metri dalla Stazione. Aldo entrò nella sua Hyundai rossa... Dai, cerchiamo di fare tutto velocemente e bene. Sussurrò Aldo. Sarà così e sarà eletto in Parlamento. Gli fece eco Livio. Dai, metti in moto ed andiamo. Suggerì Aldo. Livio entrò nell'abitacolo e prese a cercare la chiavetta che aveva lasciato nel cruscotto. Tastò e rovistò con crescente affanno. Allora, che stai aspettando? Chiese Aldo. Un attimo. Un attimo. Disse Livio nel vano tentativo di raccapezzarsi e di rammentare dove avesse messo le chiavette poche ora prima. Per quanto si sforzasse, non riusciva a togliersi dalla mente che avrebbero dovuto trovarsi nel cruscotto. Pur essendo un ragazzo dotato di una calma serafica, la mancanza delle chiavette cominciò a preoccuparlo. Fece appello a tutta la sua calma e rifletté qualche secondo. Dunque, si trovava a Pinerolo. Non in una città con un alto indice di criminalità. Quale mente malata avrebbe rubato un Vannette della nettezza urbana. Ma che senso aveva tutto ciò. Dopotutto, se qualche morto di fame avesse cercato di rubargli il mezzo, cosa era che sperava non fosse accaduto in quella occasione, se ne sarebbe andato via solo con delle stupide chiavi? Continuò a tastare con le mani nella confusione che regnava in quel cruscotto quando la sua attenzione si concentrò sulla toppa. Le chiavi erano lì. In bella mostra. Com'era possibile? Non era da lui commettere tale tipo di errore. E era, però, inequivocabile che le chiavi si trovassero proprio lì. Allora, ci diamo una mossa? Lo incalzò Aldo. Incredulo, Livio girò la chiavetta e mise in moto il mezzo. Oh... era ora. Seguimi. Esclamò Aldo. Completamente all'oscuro di quanto stava accadendo a pochi passi da lui, Luigi si destò di soprassalto. Non gli era mai capitato di assopirsi all’inpiedi. Scosse la testa, tirò su i pantaloni e la lampo ed usci. Si pulì le scarpe sull'erba di un'aiuola. Arrivò sul ciglio della strada e si guardò a destra ed a sinistra prima di attraversare. Poi, si bloccò di colpo. Il Vannette non c'era più. Impossibile. Strabuzzò gli occhi. Cercò di ricordare. Dunque... ma che diamine. Si trovava a Pinerolo. nessuno ruba un Vannette della nettezza urbana. eppure, per quanto la cosa gli paresse follemente e ragionevole il suo mezzo non c'era più. Era stato via solo un paio di minuti. Pensava. Provo a controllare l'orologio e verificò l'esattezza di questo pensiero. Dopo avere trovato conferma, quando li alzò lo sguardo notò con stupore una cosa strana. Il suo Vannette si trovava parcheggiato una decina di metri più avanti di dove ricordava di averlo lasciato. E dietro di sé, vi era un'auto, un'Alfa Centoquarantasei, per la precisione. Abbassò lo sguardo come per aiutarsi a ricordare meglio. Si diede un pizzicotto per trovare conferma del suo dubbio se fosse sveglio oppure stesse ancora dormendo. Decise di cominciare ad attraversare la strada e si avvicinò sempre di più al Vannette. Entrò nell'abitacolo. Raccolse un po' di fiato. Era stato fortunato, pensò. Lo spavento venne attenuato dalla consapevolezza dello scampato pericolo. Questa volta, con decisione, girò la chiavetta di accensione. Niente. Il tipico rombo del motore del suo automezzo non era stato neppure lontanamente prodotto. Qualcosa non andava. Luigi rifletté qualche istante. Dunque... aveva girato la chiavetta nel quadro comando. Nel... qua... la chiavetta... Ora aveva capito. La chiavetta d'accensione era scomparsa. Un'altra volta. Spaventato da quella piccola serie di eventi misteriosi, l'operatore ecologico aprì la portiera ed uscì istantaneamente dall'automezzo. In quello stesso momento, in via Garibaldi, stava sopraggiungendo una Fiat Stilo ed il conducente evitò per miracolo la collusione, sterzando e frenando bruscamente. Luigi capì di aver appena commessa una sciocchezza. Una grossa sciocchezza. Il conducente della Stilo abbassò il cristallo laterale anteriore destro e apostrofò l’operatore ecologico con epiteti irriguardosi. Ma sei pazzo? Urlò l'uomo visibilmente fuori dei gangheri. Mi scusi. Mi scusi. Non me ne sono accorto. Cercò di fare ammenda Luigi. Si è fatto nulla? Chiese l’uomo seriamente preoccupato. No. Sto bene. Mi creda. È tutto a posto. Rispose scioccato Luigi. L'uomo richiuse il finestrino e continuò a smistare al povero Luigi quanti più insulti conosceva. Ma tu guarda che soggetto. Esclamò. Luigi cercò di contenere lo stato di agitazione in cui si trovava ed entrò nuovamente nel suo automezzo. Abbassò lentamente lo sguardo cercando di scorgere la chiavetta di accensione inserita nel quadro. Senza riuscirvi. Le chiavi non si trovavano lì. Eppure, il suo mezzo era parcheggiato a Pinerolo. Nessuno ruba un Vannette della nettezza urbana, tanto meno le sole chiavetta d'accensione. lo sguardo gli cadde sul cruscotto, debolmente illuminata dalla luce gialla dei lampioni disposti sul lato della strada. Le chiavette si trovavano lì, in bella mostra. Tremante ed esitante, allungo la mano destra e le afferrò. Le inserii nel quadro. Le girò bruscamente l'autocarro si mise in moto. Sembrava un incubo. Da quando si era svegliato, quella mattina, le cose sembravano sfuggirgli di mano. La sua memoria l'aveva tradito già quattro volte. Per due aveva creduto di aver lasciato il suo Vannette parcheggiato in una posizione differente da quella in cui lo aveva ritrovato. Una volta credeva di aver lasciato le chiavi nel cruscotto, una volta inserita nel quadro. In entrambi i casi, i fatti gli avevano dimostrato che si era sbagliato. Guardò bene con lo specchietto retrovisore, nel caso stesse sopraggiungendo qualche altro mezzo e quindi si avviò con un pensiero fisso nel cervello: che quella sarebbe stata una giornata che si sarebbe ricordato per un bel pezzo. E senza saperlo aveva tristemente ragione. Quello che era accaduto era tanto semplice quanto diabolico. Alle due di notte Giovanni e il suo aiutante Oreste si avviarono furtivi verso tutti i seggi elettorali. Lo stratagemma che avevano trovato per distrarre la sorveglianza dei soldati era stato quello di recapitare loro tre videocassette di Poana Mozzi, nota pornostar disponibile in celluloide senza alcuna inibizione. Il piano funzionò a meraviglia. I ribaldi non ebbero alcun tipo di disturbo per le loro malefatte. Giovanni ed il suo fedele aiutante si recarono in tutti i seggi elettorali e mentre uno controllava i movimenti dei soldati di guardia l'altro penetrava nello stabile e trafugava gli scatoloni con le schede elettorali sostituendoli con quelli falsi. Il nastro che serviva a sigillare porte e finestre, il quale recava le firme autografe di scrutatori, segretario e presidente, fu sostituito con uno contraffatto, utilizzando una penna scanner ed una mini stampante. Quello che quei due cialtroni non sapevano era che i loro avversari avevano avuto la medesima pensata e che la stavano mettendo in pratica. Perciò, all'oscuro del diabolico disegno che il destino stava tracciando quella notte, Giovanni sostituì tutti gli scatoloni con i voti dei pinerolesi con dei falsi che lo avrebbero reso il vincitore. Giacomo fece la medesima cosa con queste ultime e le cambiò con quelle che aveva fatto preparare per sé. Aldo avrebbe fatto altrettanto, vincendo così le elezioni, se non fosse intervenuto un fatto tanto casuale quanto inatteso, tale da risultare beffardo. Nell'ordine: Giovanni, Giacomo e Aldo, avevano progettato di sostituire il contenuto delle urne elettorali con delle copie identiche ma false, in cui loro stessi erano stati unanimemente votati. Questo tipo di truffa poteva essere fatta solo nella notte tra il sabato e la domenica, l'unico momento in cui le aule e i seggi venivano sigillate e sorvegliate da militari ma, sostanzialmente, lasciate incustodite al loro interno. A tutti e tre venne in mente di sostituire il contenuto ovvero delle urne con quello fasullo, utilizzando come copertura un Vannette della nettezza urbana dotato di un doppio fondo. Così Giovanni sostituì le schede votate con un eguale numero di "immondizia" contrassegnata da una X sotto il suo nome. Giacomo, convinto di fare altrettanto con le sue, in realtà non fece altro che scambiare un facsimile con un altro. Aldo, il quale concluso il ciclo, per un banale errore che aveva coinvolto Luigi Boaglio, riportò nelle urne le legittime schede, vanificando così il truffaldino progetto suo e di quegli allegri compari che rispondevano ai nomi di Giovanni Stortis e Giacomo Peretti. Ovviamente, nessuno di loro capì ciò che era successo. Fu Oreste ad intuire che le cose non erano andate come avevano prospettato quando, svegliatosi in tarda mattinata, decise di controllare il contenuto del suo Vannette. C'erano tutta una serie di schede da totalizzare e da far sparire in ogni modo. Cercò invano di azionare il meccanismo che apriva il doppio fondo. Provò e riprovò. Non accadde nulla. Il vano ribaltabile non si mosse di un millimetro. Era quasi tentato di chiamare un elettrauto allo scopo di far verificare l'impianto elettrico non funzionante. Cosa, ovviamente, alquanto pericolosa visto che se fosse riuscito riparare il guasto sarebbe stato difficile trovare un'esauriente spiegazione sul contenuto del doppio fondo. L'ansia si trasformò in puro panico quando lesse il numero di targa Elle Uno Quattro Tre Sette. Prese il portafogli e adesso vi tirò fuori un biglietto su cui aveva notato il suo esatto numero: Ipsilon Cinque Due Cinque Due. Il Vannette che si trovava parcheggiato nel suo box non era di sua proprietà. Siamo a Pinerolo. Pensò. Nessuno ruba un Vannette della nettezza urbana. Meno che meno lo sostituisce con uno apparentemente originale. Che cos'era dunque accaduto? Riflette. Ragionò. Cercò di ricordare. Ancor prima, però di giungere ad una soluzione sensata si convinse che fosse meglio avvertire Giovanni dell'accaduto. Forse lui avrebbe saputo dare una risposta a quello strano evento. Provo a telefonargli ma si bloccò al primo squillo. Quello era un tipo di conversazione che era opportuno fare a quattro occhi e lontano da orecchie indiscrete. Uscì dal boxeur, richiuse la saracinesca barcollante e si avviò su per la rampa di scale che portava al piano terra. Incontrò un vicino di casa, il quale sorridente gli domandò: Allora, come stanno andando le elezioni? Avete vinto? Chiese con uno stucchevole finto sorriso. Non adesso. Non adesso. Rispose teso Oreste. Poi, cominciò a rifletterci su mentre usciva dal portoncino della scala e si avviava superare il piano piloti e l'ultimo portoncino prima di ritrovarsi in strada. "Avete vinto"... pensò. Con una sola parola quell'individuo aveva probabilmente tradito la sua reale intenzione elettorale. Quella cioè di non votare per Giovanni. Complimenti, si disse Oreste., dopo tutto quello che lui aveva fatto per ottenere quel voto. Si era prodigato, aveva fatto in modo che la moglie venisse assunta presso una ditta fornitrice di un industriale, socio di Giovanni. Bel ringraziamento, pensò. Ma gliel'avrebbe fatta certamente pagare, in qualche modo. Dopo tutto, la donna era stata assunta con contratto interinale e bastava poco per far sì che l'azienda la licenziasse. Anzi, in ossequio alla legge Biagi, si dovrebbe dire che non gli si "rinnovasse il contratto". Raggiunta la strada, Oreste meditò per alcuni istanti cercando di ricordare dove aveva lasciato parcheggiata la sua auto. La trovò esattamente dove pensava. Gli tornarono in mente i dubbi e le incertezze di quella mattina ma si trattò di un fugace pensiero e non mise in relazione alla cosa con il "furto"... anzi, la sostituzione dell'arte. Entro nell'abitacolo della sua Lancia Ipsilon, prese le chiavi dalla tasca ed avviò il motore. Abitava in via nazionale e doveva ritornare nel centro di Pinerolo, in municipio, dove era certo che avrebbe trovato Giovanni. L’election Day arrivò come un giorno qualunque. Il tempo si mantenne graziosamente mite. Non una nuvola oscura il cielo ed una leggera fresca brezza e rese più piacevole l'esposizione ai raggi solari. I tre candidati accolsero tutto ciò come un segno premonitore per una loro vittoria. Giovanni si lasciò scappare, davanti ai suoi collaboratori,1 "avanti ragazzi, il cielo con noi". Giacomo non fu da meno e c'è chi giura di averlo sentito dire "se il buongiorno si vede dal mattino...". Aldo caricò la sua truppa utilizzando una parafrasi costruita sul titolo di un film che aveva visto la sera prima ed esclamò: "e la mattina di un giorno da leoni". Tutti e tre erano convinti che fortuna e successo avrebbero arriso alla loro scelta di concorrere al Parlamento italiano. I dati della affluenza alle urne furono salutate positivamente. Datamedia, Doxa, e gli altri istituti di sondaggi e statistiche, calcolarono che circa il novantasei per cento dei pinerolesi si era recato ai seggi. Tale percentuale risultò tra le più alte mai registrate nella zona per una campagna elettorale. Nelle sedi dei giornali locali si lavoro senza sosta per preparare la prima pagina del indomani con la notizia sulla vittoria di un candidato e la sconfitta degli altri tre. I giornalisti delle altre testate, dalla carta stampata alle televisioni generaliste, cercavano di captare l'umore dei pinerolesi, per azzardare una previsione su quanto sarebbe accaduto poche ore dopo. Si votò fino alle ventidue dopo di che i seggi si chiusero e si cominciò la conta dei voti. Una strana sensazione si diffuse nell'aria e serpeggiò nella mente degli addetti ai lavori dopo che iniziò lo spoglio delle prime schede. La sequenza pressoché uguale in tutti i seggi, fu la seguente: La Quaglia, La Quaglia, La Quaglia, La Quaglia, La Quaglia, La Quaglia, Stortis, La Quaglia, La Quaglia, Peretti, La Quaglia, La Quaglia, La Quaglia, Boaglio... Aldo Giovanni e Giacomo incominciarono ad impallidire. Avevano personalmente curato la sostituzione delle schede elettorali con quelle fasulle che avrebbero dovuto incoronarli in cima alle preferenze degli elettori. Eppure, dagli scatoloni sembravano uscire come per magia il nome della outsider, snobbata da tutti e con una campagna elettorale povera, autoprodotta e spesso raffazzonata. Qualcosa doveva essere andato storto ma cosa?

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